giovedì 9 giugno 2011

UN GIORNO PER CASO - 8

Volevo precisare, per chi ancora non lo sapesse, che i personaggi del mio racconto (a parte Robert, purtroppo) sono tutti veri ed hanno avuto nella mia vita il ruolo che ho dato loro nel racconto! Poi, volevo informarvi che d'ora in poi i miei pensieri "in italiano" saranno scritti in corsivo, senza precisare ogni volta che parlo o penso o borbotto nella mia lingua. Grazie dell'attenzione e buona lettura!
Trilly


Dall’altro lato della strada il vento sembrava soffiare più forte ed il freddo più pungente: strinsi  il cappotto all’altezza del collo cercando di far entrare meno vento possibile. Mi ammalavo spesso di gola e l’ultima cosa che volevo erano febbre e tonsillite. Forse non mi rendevo conto che il gelo veniva dal cuore e non esisteva indumento che potesse scaldarlo. Affranta, convinta che non lo avrei rivisto per il resto della vita decisi di consolarmi ascoltando un po’ di musica:  cercai  il mio Mp3 in borsa soffermandomi un attimo da una parte in quell’enorme marciapiede; lo trovai quasi subito e ripensai al taccuino che poco prima non voleva venir fuori, era proprio lì sotto il bastardo..come avevo fatto a non vederlo e non afferrarlo??!! Magia delle combinazioni…mi resi conto che non avevo nemmeno visto l’autografo che mi aveva fatto e volli prendermi due minuti per riacquistare il mio “centro di gravità permanente”. Mentre tiravo fuori l’Mp3 mi sembrò di sentire una voce che mi chiamava, una voce nel rumore del traffico, delle persone, della città…sembrava provenire dall’altra parte della strada.
Mi voltai di scatto e puntai lo sguardo al di là della carreggiata, il cuore aveva ripreso a battere, in un secondo dal gelo passai al sudore freddo…era lui che mi stava chiamando? Ma dove? Perché?
Ero sempre stata fortemente miope ma qualche anno prima mi ero sottoposta al laser per riacquistare la vista e da ciecata mi ero ritrovata con quindici decimi…niente poteva sfuggirmi. Lo cercai con gli occhi insistentemente ma non sentivo più chiamare il mio nome…camminavo a destra ed a sinistra cercando di scorgerlo tra le auto e gli autobus rossi londinesi ma …nulla. Di sicuro era stata suggestione, dovevo ancora smaltire l’emozione e soprattutto rassegnarmi all’idea che la dea bendata mi aveva già abbandonato, come al solito. Feci un bel sospirone e scossi la testa, mi infilai gli auricolari e ripresi il mio cammino. Poco dopo mi misi seduta sullo scalino bianco che faceva parte di una grossa vetrina di un negozio di abbigliamento: c’erano anche altre persone, io trovai posto in un angolo. Iniziai a spippolare l’Mp3 in cerca solo di canzoni d’amore nostalgiche, malinconiche e tristi. In attesa che quell’aggeggio infernale cominciasse a suonare guardai la mia borsa autografata: “to Trilly, Robert Pattinson”, ci stava scritto con una calligrafia quasi indecifrabile. C’erano un po’ di nuvole grigie quel pomeriggio ma indossai comunque gli occhiali da sole, perché mi sentivo gonfiare gli occhi di lacrime. Pensai a che giorno fosse, era il 21 dicembre 2012: una data memorabile, che nessuno avrebbe mai dimenticato. Da moltissimo tempo in questa data erano state annunciate le peggiori catastrofi naturali, anzi, il calendario Maya prediva che proprio in questo giorno il mondo sarebbe finito e sarebbe iniziata una nuova èra…la fine del mondo non avvenne ovviamente, era  solo una leggenda..era successo solo che, per la prima volta in vita mia, un’incredibile botta di culo mi aveva investita, tramortita, sbalzato le mie sensazioni di qua e di là come un tornado e poi se n’era fuggita via di nuovo lasciandomi come centrifugata: lo so, dovevo essere contenta che la Provvidenza mi avesse permesso di conoscere Robert Pattinson e persino di pranzare con lui ma io mi sentivo come un’adolescente in pena comunque..



Ascoltavo la musica e vidi il telefono illuminarsi; forse era arrivato un messaggio. Infatti, era di Giovanni e scriveva questo:”Ti aspettiamo per cena al Pizza Hot di Piccadilly, non mancare di nuovo, please.”
Chiusi gli occhi e tornai indietro nel tempo con la mente a quel luglio di diciotto anni prima…
Giovanni, detto Gianni, era stato uno dei miei più grandi amori adolescenziali. Lo avevo conosciuto sull’aereo per Londra, dove mi stavo recando con delle amiche per una vacanza studio in un college per due settimane ed anche lui faceva parte del gruppo di studenti. Non mi ricordo come, ma stava in un sedile vicino al mio. Io, dei miei sedici anni, ne dimostravo a malapena tredici e nessun ragazzo mi filava mai…una condanna, ero sempre la miglior amica di quelli che mi piacevano e niente più…del resto non avevo nulla di femminile…ero rotondina, con un faccino bambinesco, l’apparecchio ai denti e gli occhiali da vista…un disastro insomma. Come al solito, fui la migliore compagna di viaggio per lui…io invece, palesemente gli morivo dietro. Era carino, atletico (pallavvolista), di una simpatia travolgente, mi faceva schiantare dal ridere anche delle cose insulse ed il bello era che io avevo lo stesso effetto comico su di lui! Incredibile! Per tutti i quindici giorni facemmo coppia fissa, sempre accanto, sempre insieme…in metropolitana, a tavola, nei musei…mangiavamo nello stesso piatto, lo stesso bicchiere, la stessa sigaretta..c’era una complicità tra noi che io non avevo mai provato con nessuno, nessun ragazzo mai mi aveva dato la possibilità di entrare così in confidenza e soprattutto di essere me stessa: ma lui sosteneva di non poter darmi nulla di più, che in Italia aveva una ragazza.  Ridevamo e cantavamo insieme di continuo mentre eravamo a giro per Londra  con gli altri del gruppetto che avevamo formato tra cui c’era anche Bètta. Una sera Gianni ebbe la febbre alta, andai in camera sua a fargli compagnia: stava sdraiato sul letto mezzo sconvolto. Cercai di farlo ridere ricordandogli tutte le scenette a cui avevamo assistito o creato noi, come quando cercammo di mangiare le patatine fritte inzuppate nel gelato alla panna…poi arrivarono gli altri che dormivano con lui e mi sono maledetta per anni per essere stata lì come una scema a parlare e di non averlo baciato di mia iniziativa…non me lo sono mai perdonato. Il destino non mi avrebbe dato più occasioni. Quando tornammo a casa, scesi all’aereoporto di Pisa, corremmo ad abbracciare i nostri genitori (io non con molto entusiasmo sinceramente) e ci incontrammo con lo sguardo da lontano, ci guardammo un attimo: sapevamo entrambi che tutto sarebbe finito lì.
Negli anni che vennero dopo ci sentimmo ogni tanto per telefono per un saluto, poi il silenzio fino a che non ci eravamo ritrovati su Facebook. Che emozione: “Ti ricordi di me?? Quasi venti anni fa siamo stati a Londra insieme..”
“ Ma certo che mi ricordo di te Eva, come potrei dimenticare quei giorni così divertenti?????”
Scrivendo il primo messaggio mi erano sudate le mani..a distanza di tutto quel tempo!
Alla cena, organizzata poco dopo, lui portò la sua attuale fidanzata e per me fu un po’…un nostalgico dolore che cercai di ignorare.


Mentre ero così, con gli occhi chiusi ed immersa nei meandri dei miei ricordi con la musica nelle orecchie, 
mi sentii come strattonare, qualcuno voleva forse scipparmi? E scipparmi la borsa autografata di zecca di Robert Pattinson? Perdere ogni prova che quello che era successo era successo davvero e non era stata solo fantasia? Il panico mi pervase, aprii subito gli occhi, mi alzai in piedi e cercai di difendermi dando una “borsata” ai fianchi dello scippatore, una figura inquietante…tutta vestita di nero con il cappuccio della felpa che gli copriva la testa e la fronte, occhiali scuri…ma, avevano quasi un ché di familiare…
<Brutto deficiente, non provare a scipparmi o mi metto ad urlare qui davanti a tutti!> dissi in tono concitato, ma lo scippatore mi prese per le spalle, cercai di divincolarmi presa dalla paura, lui stava sempre a testa bassa ed a un certo punto alzò lo sguardo e mi scosse dicendomi sottovoce
<Trilly, Trilly basta sono io…fermati è tutto a posto! Non mi riconosci?>
<Io chi??????> ma nel momento stesso in cui lo chiesi riconobbi la voce, la barba, il viso e per un attimo lunghissimo lo fissai ancora più incredula della mattina e con gli occhi sgranati esclamai
<Robeeeerrrrttttttttt????????? Sei tu?>
<Sì, zitta però possibile che ogni volta che mi vedi devi sempre urlare dannazione? E non chiamarmi per nome ti prego..> mi supplicò. Avevo ancora gli occhi fuori dalle orbite e non riuscivo a muovere nessun muscolo all’infuori della bocca purtroppo per lui:< Ma insomma, cazzo, hai deciso di farmi crepare oggi??!!
Se vuoi farmi venire un infarto dimmelo subito! Me ne sto qui tranquilla dopo una mattinata abbastanza pesante se permetti, ho dovuto farti da guardia del corpo, escogitare una fuga come un agente della Cia, pranzare con te come se non fosse successo nulla…ed ora…rieccoti qua a farmi prendere un blocco cardio-circolatorio quasi fulminante??? Ma hai perso il cervello?? Credevo che fossi un delinquente che voleva scipparmi…porca miseria…> ero a dir poco sconvolta più dal fatto di rivederlo che altro, ma finsi di aver avuto paura del tentato scippo.
<Mi dispiace averti impaurita, non era certo nelle mie intenzioni, vuoi un po’ d’acqua per calmarti?> si giustificò con fare imbarazzato.
<NO! Non mi va nulla, ma vorrei sapere che cosa ci fai qui? Non avevi un appuntamento??? Ti sei cambiato di vestiti..perché?> domandai curiosa.
<Non avevo nessun appuntamento, era solo una scusa. Sono in vacanza da solo qui a Londra, vorrei starmene qualche giorno in tranquillità…impresa molto ardua per me! Ho provato a chiamarti dalla strada ma ti eri già allontanata troppo e non mi hai sentito così…> lo interruppi
<Sì che ti ho sentito…allora non era solo suggestione…ma non sono riuscita a vederti con tutto quel traffico..>
<Lo so, sono rientrato subito da Danny perché delle persone mi stavano osservando e non volevo essere riconosciuto di nuovo. Ho chiesto a lui qualche suo vestito scuro per passare inosservato> spiegò<… e poi…sono venuto a cercarti e ti ho trovata qui…ma che facevi, dormivi?>
< Macché dormivo…pensavo ad occhi chiusi, non ti capita mai?>
< Ultimamente davvero quasi mai…> abbassò di nuovo la testa, ci fu un secondo di silenzio poi gli chiesi
<Perché sei venuto a cercarmi? Cosa c’è, ho dimenticato qualcosa da Danny? Mi sembrava di aver preso tutto…> ero sudata marcia e la temperatura era gelida.
<No no, non hai dimenticato niente, volevo…volevo chiederti un favore>
<Non vorrai che ti accompagni in giro per Londra vestito da donna come stamattina vero? Non ce la posso fare te lo dico subito..> lo avvertii
<Oh no, io volevo chiederti solo se domani avresti qualche ora libera per farmi compagnia…così, per fare due parole, sono sempre solo in questi giorni e non sono abituato a stare solo…in fondo sono stato bene a pranzo con te!>
Mi ero completamente paralizzata, non riuscivo a parlare e come mio solito mi uscì di bocca una bischerata:< Ok, hai fumato erba?Hai preso una botta in testa? Forse è meglio che ti porti in ospedale…andiamo su!>
Robert si mise le mani sul viso sogghignando
<Mio Dio, sei incorreggibile…dico sul serio, rimettiti seduta! Mi piacerebbe passare un po’ di tempo con qualcuno e mi piacerebbe che fossi tu. Non sei una fan agguerrita, mi fido, mi piacerebbe chiederti molte cose su quello che pensano di me…ovviamente sempre che tu non abbia impegni più importanti, non voglio metterti in difficoltà…>
Dentro di me scoppiavano fuochi d’artficio di tutti i tipi, anche quelli di contrabbando e gli risposi molto seria
<Accidenti….>
<Cosa? Non puoi?> chiese lui preoccupato.
<Mmmmm…..Robbie Williams se la prenderà a morte, gli avevo promesso che andavo a fare shopping con lui domani….bhé, se ne farà una ragione…d’altra parte…> fingevo di essere seria e mi divertiva vedere la faccia di Robert passare dal preoccupato al perplesso
<Era un sì?> mi domandò con un mezzo sorriso
<Ma certo che è un sì! Con molto piacere mister Pattinson!> decretai.
<Ne sono felice! A proposito, c’è una condizione…> tornò subito serio.
<E quale sarebbe?>
<Non voglio che mi chiami per nome, mai, per nessuna ragione> stavo per reagire, stupita da quella richiesta a primo avviso incomprensibile ma lui continuò lasciandomi senza parole < Voglio che tu mi chiami Bobby, per te sono solo Bobby e nessun altro, ci stai?>
Bobby era il nome fittizio che avevo dato a Bètta poco prima: rimasi sorpresa e stupita, mi sembrava che il mio respiro si potesse udire fin da Firenze e con un filo di voce risposi:<Ok, va bene.>
<Beeeeneee!> esclamò lui sollevato<allora ci vediamo domani pomeriggio alle tre al laghetto di Regent’s Park, sai dov’è?>
<SSSììì..lo so dovè…va, va bene allora…Bobby..> balbettai ipnotizzata abbassando e alzando lo sguardo.


<A domani!>  sorrise e si dileguò tra la gente frenetica con fare quasi vampiresco…io, avevo bisogno di una doccia.