lunedì 30 gennaio 2012

UN GIORNO PER CASO - 16

Covent Garden era una delle zone di Londra che amavo di più: la sua semplice ma caratteristica piazza piena di bancarelle artigianali, i teatri, i musei che la circondavano mi avevano sempre estasiato. Ed ancora i ristoranti eleganti sempre pieni di persone ai tavoli allietate dalle musiche allegre o romantiche degli straordinari artisti di strada. Locali, negozi, eventi culturali  rendevano le strade sempre frenetiche ed affollate. Mi piaceva soffermarmi ad osservare la bravura degli artisti, ne rimanevo affascinata.
Il fatto che Giovanni si fosse ricordato di questo particolare mi lusingava molto: ci eravamo seduti per cena proprio in uno di quei bei ristorantini, certo uno di quelli che aveva qualche piatto che si avvicinava alla cucina italiana. Scherzammo per tutto il tempo e godetti di quella compagnia che tanto avevo aspettato, anche se in verità il mio cuore batteva ansioso di arrivare al giorno dopo, quando avrei rivisto Bobby, Robert.
“E per dolce cosa prendiamo?” mi chiese Gianni quando la cameriera venne a portarci via i piatti.
“Bhè, io direi che per me va bene così…ho mangiato anche troppo”
“Eh no, qui viene il bello, non vorrai rovinarmi la cena proprio adesso” mi interruppe con tono perentorio e rivolgendosi alla ragazza ordinò “Ci porti due gelati ed una porzione di patatine fritte, per favore”
“Patatine fritte, signore?” rispose perplessa la cameriera.
“Sì, certo, patatine fritte ben cotte!” precisò e la ragazza si allontanò di fretta.
Gli rivolsi uno sguardo supplichevole “Gianni ti prego, risparmiami questo dessert; non ti sei accorto che non abbiamo più sedici anni e soprattutto, il mio stomaco ed il mio fegato non sono più quelli di una volta! E’ possibile che tra una settimana ancora non abbia finito di digerire questa schifezza e non ho nessuna intenzione di sentirmi male stanotte, ho un appuntamento importante domani mattina!!!”
“Ah per piacere smettila di fare la preziosa!” rispose lui quasi scocciato” era la nostra mattacchioneria preferita, ci divertivamo un sacco, perché non ricordare quei bei momenti ripetendo la stessa cosa adesso? Non ti capisco…e  poi, non siamo qui in vacanza? Che razza di appuntamento dovresti avere domani?”
mi domandò.
Per mia fortuna la cameriera arrivò con due bei gelatoni e le patatine fritte: all’odore il mio stomaco represse per rispetto un conato di vomito e mi portai una mano sulla fronte per nascondere la mia espressione di disgusto, ma come potevo aver inzuppato le patate fritte nel gelato quasi vent’anni prima??? Certo l’amore ti fa fare veramente cose strane…
“Eccoci, finalmente!” esclamò Giovanni divertito e già distratto dalla domanda che mi aveva posto.
Gli feci uno sorriso forzatissimo, cosa che invece di dissuaderlo lo fece ridere ancor di più.
“Dai, forza, iniziamo! Prendi una patatina, inzuppa e poi mangia!!!” mi incitò lanciandomi due o tre patate dalla mia parte.
“Signore benedetto! Non sei proprio cambiato per niente, è pazzesco! NON lanciarmi quelle patate! Fermo” lo guardai rassegnata.
Iniziavo a divertirmi anch’io, mi faceva ridere il suo comportamento in fondo. Del resto Gianni era stato l’unico nella mia vita che, al di là dell’amore che avevo provato per lui, riusciva a tirar fuori tutto il mio spensierato ed allegro lato Gemelli. Prima o poi mi coinvolgeva nelle sue pazzie e mi ritrovavo sempre ubriaca di risate.
E fu così anche stavolta.
Infilai nel gelato alla panna la patatina e totalmente schifati contammo sino a tre e poi via! In bocca!
Ci sbellicammo, non ci rammentavamo più quanto fosse orribile quel sapore dolce e salato insieme; e più ci chiedevamo come avevamo potuto farlo e più che si rideva…gli tirai qualche patata anch’io ed andavo ad inzupparle nel suo gelato sotto gli occhi sbalorditi dei vicini di tavolo.
Avevo i lacrimoni agli occhi dal divertimento, Giovanni aveva spostato la sedia e si era seduto vicino a me con il suo piatto, intendeva imboccarmi nonostante il mio primo e ridacchiato rifiuto.
Il nostro tavolo era situato proprio sul bordo esterno quindi avevo la strada al mio fianco e le persone che passeggiavano avanti ed indietro o che si recavano alla svelta nei vari locali o teatri.
Mentre ero così intenta a fare la scema il mio sguardo cadde su una figura vestita di nero, in lontananza, confusa tra la gente, sembrava immobile come se mi stesse osservando, poi prese a camminare verso di noi ed il mio sistema cardiocircolatorio ebbe un blocco quando notai il cappuccio scuro sulla testa contrastato da una barba color tramonto.
Non respiravo più, ero in apnea e quasi non mi rendevo conto di cosa stava succedendo.
Il cucchiaino del gelato, che tenevo nella mano sinistra, mi scivolò dalle dita e cadde dall’altra parte della transenna che divideva il ristorante dalla strada.
Il personaggio misterioso continuava a camminare a testa bassa lungo il divisorio e non ebbi più alcun dubbio: era lui, era Bobby, cavalcava con quella sua armoniosa andatura verso di me.
Tutto intorno al mio essere si fece come oscuro e lui era come l’unico punto di luce che riuscivo a scorgere, una luce che si faceva sempre più grande;  sentivo ormai la voce di Giovanni in lontananza come un vecchio disco suonato a rilento. Non era possibile, non poteva essere vero; furono secondi interminabili, fu come se un’onda d’urto mi colpisse fino giù nel profondo dell’essere e scuotesse il mio corpo come un terremoto da cui si sprigionavano vortici di energie e sentimenti contrastanti e potenti che si impossessavano di me senza che io potessi fare niente per riprendere il controllo di me stessa…quale me? Quella che stava a quel tavolo con la bocca piena di patate gelatose o quella che sentivo fare capolino da quel sisma che mi stava imperversando dentro?!



Il personaggio, che avevo identificato in Robert, si soffermò all’altezza del nostro tavolo sempre con il viso rivolto verso il basso: si abbassò, raccolse il cucchiaino e per una frazione di secondo alzò lo sguardo puntando dritto nei miei occhi. Quelle lance azzurre sferzarono il colpo finale e non fui capace nemmeno di dire un “grazie” o di fingere qualcosa. Si allontanò nel nulla così come era arrivato lasciandomi quasi morta.
Giovanni mi scosse “Oh ma che ti prende? Ti sono andate di traverso le patate?” diceva ridendo e scherzando mi batteva una mano sulla schiena come per farmi andare giù il boccone.
Non so come riuscii a riprendere un poco di lucidità. In preda alla rabbia di trovarmi in quella situazione assurda e stupida allontanai sgarbatamente il braccio di Gianni che continuava a battermi sulla schiena.
“ Falla finita! Adesso basta!! Basta con queste stronzate, ne ho abbastanza! Dai, voglio tornare a casa, andiamo!” dissi in malo modo e guardandomi ancora intorno
“ Ma cosa c’è, che hai? Ti senti male per davvero?”
“ Mi è scoppiato un forte mal di testa, ti prego, andiamo in hotel!” feci una breve pausa “ ci siamo divertiti abbastanza, non credi?”
Vidi Gianni abbuiarsi, mi riaccompagnò alla mia stanza senza che nessuno dei due dicesse una parola.
“Ok, ehm, ti ringrazio della serata Gio…è stato molto, molto divertente e scusami ma…davvero non mi sento bene..” cercai di giustificarmi ancora scossa dall’accaduto.
Ma accadde ancora una cosa che non avrei mai potuto prevedere.
Giovanni si avvicinò a me e mi baciò sulle labbra: dopo tutto quel tempo durante il quale avevo sognato spesso quel momento non riuscii a provare molto, solo stupore. Stava dando spessore a quel bacio quando lo fermai staccandomi.
“Giovanni io…ti prego…mi dispiace ma, io ..io non sono più la stessa: non rimanerci male…non posso io..non posso proprio…scusami” sussurrai osservando il suo viso.
“Ma vuoi spiegarmi che cazzo sta succedendo? Non vorrai mica dirmi che mi hai trascinato fino a Londra per dirmi che non sei più la stessa?Mi dici che cazzo ti prende?Con chi ti devi vedere domani?” Giovanni esplose arrabbiato ed ingelosito addirittura.
“Ascolta, non importa con chi mi vedo domani, non è certo affar tuo, che ti devo dire le cose sono cambiate, i miei sentimenti sono cambiati…” mi voltai ed aprii la porta della camera: entrai e lui si fermò sulla soglia.
“Non ci posso credere, non è possibile che in tre giorni sia cambiato tutto, è per quel tuo amico del locale non è vero? E’ lui che ha rovinato tutto, non è vero?” domandò incalzando il tono.
Bètta era a letto che leggeva un libro ed osservava la scena con imbarazzo.
Mi voltai di scatto
“Ma insomma, che cosa ti importa, eh?Per venti anni ho sperato che tu mi facessi una telefonata, i primi tempi ho aspettato per mesi le lettere che dicevi di scrivermi…voglio dire….adesso te lo chiedo io..che cosa è cambiato? Te lo dico io che cosa è cambiato, è cambiato che ho finito di aspettare, mi dispiace, punto.
Sì è per quel mio amico, Bobby, se mi vedi diversa e non so proprio che cosa farci anzi, mi va bene così!”
conclusi.
“E’ vero, non mi sono comportato bene, ma…se ho serbato questa fottuta collana un motivo ci sarà non credi?” continuò Giovanni scostandosi il maglione dal collo e  senza nessuna intenzione di chiudere il discorso “ voglio vedere la tua, fammi vedere la tua, ci sarà un motivo se anche tu l’hai conservata, o no?”
Chiusi gli occhi un attimo, presi un calmo respiro e li riaprii mentendo
“L’ho persa, non ce l’ho più, la persi in mare quella stessa estate”
“Non è possibile, è una bugia, mi hai sempre detto di averla, non ci credo!”
“Bhè, credici, perché è così!” dissi nel modo più convincente possibile.
“Bene, allora….a questo punto penso che non abbiamo altro da dirci. Buonanotte Eva.”
Prima che potessi rispondere si era già voltato per andarsene e non fui capace di dire nulla. Chiusi la porta e guardai la mia amica alquanto allibita.
“Che mi sono persa?” mi chiesa Bètta.
“Giovanni mi ha baciata…ed io l’ho respinto” confessai.
“Oh Dio mio, questo sì che è uno scoop!” esclamò lei e poi riprese “lo sai che molto probabilmente non ci sarà un’altra occasione, vero? E sai anche che Robert è pura follia, perché è per lui che hai respinto Giovanni, vero?”
“Che cazzo! Vaffanculo Bètta!” imprecai
“Ok…dormo vai, è meglio, ti voglio bene anch’io!” mi rispose riponendo il suo libro nel comodino.
Non dissi niente, mi preparai per la notte ed infilai il pigiama quasi come un automa.
Mi sdraiai accanto a Bètta e le chiesi
“Dormi Bètta?”
“Mmmm..ormai non più…che c’è ancora?”
“Stasera, mentre Gianni ed io cenavamo a Covent Garden…lui era là, Bobby era lì” mormorai con un filo di voce
“Stai cominciando ad avere le allucinazioni…” farfugliò Bètta tra il sonno.
“No, te lo giuro, sono sicura, è passato di fronte a me..ha raccolto il mio cucchiaino..ne sono certa, certissima!” puntualizzai.
“E allora cara mi sa che sei nella merda fino al collo, dormi adesso o domattina sarai un mostro!”
“Ecco appunto…proprio nella merda…ma insomma…una bella merda…voglio dire…notte Bètta” le dissi
“…nnnotte..”
Presi due digestivi ed andai a letto, spensi la luce.
Mi dispiaceva aver arrecato dispiacere a Giovanni ma non riuscivo a pensare ad altro che a Bobby; il suo viso, i suoi occhi, la sua voce, il suo nome rimbombavano nella mia mente esausta.