giovedì 19 aprile 2012

Un Giorno Per Caso - 19

Cercai di pensare in fretta, ma non sapevo bene come avrei potuto comportarmi…scusarsi? No, troppo banale. Giustificarsi? In fondo non avrei mai potuto immaginare una simile reazione…forse avevo esagerato…insomma ma giustificarmi di cosa? Non ero mica un cagnolino che si brontola in malo modo perché ti fa troppe feste! Mostrarmi offesa? Indignata? No. Mai. Anche perché non ero offesa, piuttosto confusa invece direi; le mie antenne mi dicevano che aveva terrore dei contatti improvvisi, che li subiva spesso e quindi non lo aveva sopportato. Ma non ero certa di questo, lo percepivo e basta. Potevo attendere che tornasse, ma non volevo che nel suo meditare di fronte al mare potesse arrivare alla conclusione che fosse meglio non vedersi più perché ero solo una femmina che lo desiderava come tutte le altre. Dovevo interrompere quei pensieri, aiutarlo, lo amavo già…una volta lì con lui avrei saputo cosa fare… o almeno, lo speravo! Misi il paraorecchie, ripiegai con cura l’incarto e lo infilai in borsa: lo avrei conservato per la vita. Presi tutto, anche la sua tracolla che aveva calciato e poi lasciato lì con me; mi avviai verso di lui. Il rumore e la forza del mare m’infondevano coraggio e fiducia, nonché tranquillità: quello era un ingrediente importante. Ero prossima a lui. Vedevo il fumo venir su da dietro la sua testa. Mi fece un’immensa tenerezza. Buttai giù le borse e si accorse di me. Silenzio. -Posso sedermi qui?- chiesi titubante, indicando con la mano il posto vicino a lui. Mi dette uno sguardo svelto con la coda dell’occhio. Taceva. Aspirò la sua sigaretta ed espirò profondamente il fumo, flesse le gambe e ci appoggiò gli avambracci sopra, nascose la testa dentro, la mano tra i capelli, nervosa. Cinque secondi, un’ immensità di tempo. Rialzò il viso e con un breve e svogliato cenno della testa, acconsentì. Mi sistemai con le ginocchia tra le braccia accanto a lui. Lo guardavo di sottecchi, seguitava a fumare, assorto. Pronunciai poche parole che speravo arrivassero dritte al bersaglio sdrammatizzando la situazione. – Ok, Pattinson, certo io avrò bisogno di un’esorcista…tu però devi darmi al più presto il tuo libretto d’istruzioni! – anch’io lo tenevo sotto controllo con la coda dell’occhio e non mi sfuggì certo un sorriso ammezzato, rassegnato, ma un accenno. A quel punto non mi rimaneva che aspettare: afferrai un bastoncino di legno abbandonato dalle onde del mare e presi a fare ghirigori sulla sabbia. Mi venne in mente la frase di una canzone di un noto e bravissimo gruppo italiano, parole che avrei voluto dire a Bobby ed iniziai a canticchiare come se fossi sotto la doccia, per ingannare il tempo, illudendomi che lui capisse, ma sicura che non comprendesse. – …E dimmi ancora quanto pesa, la tua maschera di cera, tanto poi tu lo sai si scioglierà come fosse neve al sol mentre tutto scorreeeeee Usami, straziami, strappami l’animaaaaaa…–




Ad un certo punto m’interruppe iniziando un discorso:– Non riesco più a camminare tranquillamente per le strade e quando raramente lo faccio devo sempre camuffarmi per essere riconosciuto. Mentre cammino mi batte il cuore, ho paura: paura di finire per strada sotto un’auto come è quasi successo una volta, scappavo dalle fan, correvo e sono quasi stato investito…sono rimasto terrorizzato. Ho come la sensazione che la gente mi abbia preso di mira, ho timore anche solo di attraversare una strada. C’è stato un periodo in cui ero diventato veramente paranoico.
I paparazzi e le fans…è come se mi tendessero degli agguati, cercano di scoprire sempre in quale hotel alloggio, mi aspettano sotto casa, quasi dappertutto…mi sento braccato. E nessuno può fare nulla, nemmeno se chiedo aiuto alla polizia, è terribile. ­­–
Lo ascoltavo zitta, non avevo nemmeno voltato il viso verso di lui: non avevo smesso di fare i ghirigori con il bastoncino sulla sabbia. Vicino a me ce n’era un altro. Lo presi senza pensare e glielo porsi, aveva finito la sigaretta. Sospirò, afferrò il legnetto, fece un piccolo buco nella sabbia umida e riprese a parlare: – Le ragazze vogliono, pretendono in continuazione di toccarmi ed accarezzarmi i capelli, mi abbracciano, mi saltano quasi addosso! Per tentare di passare ancora più  inosservato di solito indosso sempre due cappucci ed un cappellino, metto gli occhiali da sole e…ed è come essere sempre nel mezzo della notte…a quel punto cerco di camminare a tutta velocità… Una volta a Cannes sono andato al ristorante per una pausa ed appena due ore dopo, circa cinquecento persone stavano aspettando furi che uscissi: è stato il caos totale, hanno dovuto letteralmente trasportarmi dentro una macchina! E’ quasi ridicolo! Una delle cose più imbarazzanti è quando gli amici mi chiedono di vederci da qualche parte ed io sono costretto a rifiutare, a dire loro che non posso raggiungerli in quel posto perché sono pienamente consapevole che i paparazzi mi stanno aspettando là come degli avvoltoi. Devo sempre guardarmi alle spalle, essere di continuo molto vigile ed attento perché in ogni momento qualcuno può filmarmi o registrare la mia voce, quello che sto dicendo.–
(n.d.r. questo è un estratto di un’intervista fatta a Robert che ho trovato su Internet e You Tube, leggermente riadattata.)
Avvertivo pienamente la sua disperazione, il suo disagio, ma continuavo a tacere tanto era il timore di dire cose banali di fronte alla confidenza che mi aveva donato.
Continuò ancora:– Anche in Italia mi è successa una cosa simile a quando ti ho incontrato in libreria l’altra mattina…solo che ero solo, non c’era nessuno a portarmi via…rimasi così scosso che mi misi a piangere…non sopporto chi mi dice che questa persecuzione è il prezzo dei soldi e della fama…una prigione di cristallo è pur sempre una prigione anche se sei ricco, se sei perseguitato dalle persone i tuoi soldi non possono allontanarle…non posso cancellare da Internet tutte le mie foto montate su scenari quasi pornografici, tutte le volte che mi capita di vedere qualcosa mi viene il voltastomaco…detesto essere considerato un sex symbol, io non lo sono, non mi sento così, mi sento solo un ragazzo di ventisei anni che ha avuto molta fortuna…– . Bobby stava sfogando un po’ delle sue frustrazioni, mi ero fermata a guardarlo mentre lo ascoltavo con la testa appoggiata sulle ginocchia tirate sù. Notai che lui con quel bastoncino aveva quasi scavato una buca molto grande a forza di parlare. Il suo gomito era sul suo ginocchio, la testa sulla mano che pettinava grossolanamente i capelli all’indietro.
– Bobby?– lo chiamai piano.
– Dimmi– alzò il viso e mi accorsi con dolore che i suoi bellissimi occhi erano pieni di lacrime che non volevano scendere.
–Vorrei…permettimi di toccarti, ti prego!– mormorai.
Scosse nervoso la testa.
Avvicinai la mia mano al suo viso, ero così vicina ma lui fece un piccolo movimento indietro.
– Shhhh, è tutto a posto, non succederà niente: fidati!–
Posai il palmo sulla sua guancia e mi vergognai di me stessa quando sentii una fitta al basso ventre al tocco della mia pelle con la sua barba ed il mio cuore batteva a mille tanto che avevo paura che scoppiasse da un momento all’altro.
Una lacrima si fece strada sul viso di Bobby, non tolsi la mano e con il pollice cercai di asciugarla come si fa ad un bambino che ha pianto.
– Shhh, andrà tutto bene, tutto si risolve…vedrai, stai tranquillo…– cercai di rassicurarlo.
Annuì.
– Ok, però adesso basta Bobby… basta con quel bastoncino o troverai il petrolio!…– gli sorrisi.
Guardò in basso e rise constatando che avevo ragione.
Ritrassi il mio braccio e lui mi afferrò la mano che avevo sul suo viso fino ad un secondo prima, mi fissò
– Era bella la canzone che canticchiavi–
– Lo so…– dissi con un filo di voce abbassando gli occhi
– Grazie, Trilly!–
Dovere!– risposi in italiano.
Ebbi un momento di evidente imbarazzo. Dopo la tensione appena passata non sapevo che dire o che cosa fare. Poi ebbi un’ispirazione.
– Bhè, però mi dispiace che tu abbia avuto una cattiva impressione delle italiane!– dissi.
– Oh no, certo non volevo insinuare che siete tutte uguali…del resto ne ho la prova proprio qui davanti a me!– rispose Bobby con un fare così galante tanto che me ne sentii molto lusingata.
– Penso, anzi sono sicura, che tu purtroppo abbia avuto solo a che fare con delle ragazzine selvagge e maleducate…e quelle, si trovano in ogni parte del mondo…ahimé!–
– Tu dici?–
­– Certo! Non troverai invece facilmente in giro per il mondo una vera donna italiana! Noi sappiamo essere passionali, gentili, spiritose e divertenti, mai fredde…insomma, all-inclusive!– decretai.
–Mmmm…all-inclusive??– Bobby alzò quelle sue belle sopracciglia in una delle sue facce perplesse.
–All – In.clu.si.ve! Garantito!– confermai.
– Ah ah…e tu saresti quindi in forma All-Inclusive?!–
– Ovvio che sì! Lascia che te lo dimostri!–
– E in che modo, sentiamo?–
–Mmmm…cucinerò io per te stasera! Non sarò Danny ma…un po’ me la cavo! Facciamo spesa, anzi, io farò spesa e stasera ti farò i tuoi adorati spaghetti!– proposi
– E’ una bellissima idea!– esclamò Robert raggiante – e dove?–
– Possiamo fare a casa tua, mi hai detto che sei solo…può andare?– non credevo a ciò che stavo dicendo: stavo proponendo a Bobby un appuntamento a casa sua e lui sembrava gradire la mia proposta; per un attimo pensai di essere stata troppo sfacciata ma lui mi tranquillizzò e mi sorprese accettando la mia proposta con entusiasmo.
– Ok, affare fatto! E adesso godiamoci questa bella gita al mare!– concluse Robert.





Traduzione della canzone: Allora, piccoli diavoletti italiani,
volete sapere qualcosa dell'amore?
Saraghina ve lo dirà.
Se volete rendere felice una donna,
affidatevi a quello con cui siete nati,
perché ce l'avete nel sangue.

Sii italiano!
e cogli l'occasione di provare
a rubare un bacio appassionato
Sii italiano!
quando mi stringi,
non stringere solo me ma anche questo
per favore sii gentile, sentimentale
va avanti e prova a dare alla mia guancia un buffetto
ma sii audace e indifferente
quando mi dai dei pizzicotti
pizzicami lì dove sono più grassottella

sii un cantante, sii un amante
raccogli il fiore adesso
prima che tu perda l'occasione
Sii italiano!
vivi ogni tuo giorno come se fosse l'ultimo!

hey sii un cantante, sii un amante
raccogli il fiore adesso
prima che tu perda l'occasione
Sii italiano!
vivi ogni tuo giorno come se fosse l'ultimo! 

martedì 27 marzo 2012

Un giorno per caso - 18

- Un…che cosa?- esclamai stupita da quella rivelazione. La forte emozione mi provocò un terribile crampo allo stomaco e non riuscii più a trattenere la nausea che nel frattempo non era migliorata affatto.
-Oh no, mio Dio, no no no…- mugolai posandomi una mano sulla fronte.
- Ma cosa c’è di così terribile in ciò che ho detto?- mi chiese Robert continuando a fumare la sua sigaretta e voltandosi verso di me.
- Sto per vomitare, aspettami in macchina, vattene!- dissi iniziando a correre verso un albero poco distante e nascondendomi dietro di esso. Finalmente riuscii a liberarmi e mi sentii subito meglio…maledissi la cena della sera prima, non avrei dovuto esagerare in quel modo. Ripensandoci, però, dovetti constatare che il mio fisico aveva comunque dovuto sopportare emozioni che non sapevo nemmeno che esistessero: emozioni di un’intesità così grande che certo non ero abituata a sopportare. Nonostante avessi cercato in tutti i modi di dominarmi, di essere normale di fronte a lui, di non piangere dalla gioia, di non farmi prendere dal terrore di non essere alla sua altezza…avevo ceduto, non ci stava più nulla dentro di me. Menomale adesso avevo fatto un po’ di spazio…
- Trilly come stai? Hai bisogno di qualcosa?- mi arrivò la sua bella voce da dietro l’albero.
- Cristo, sei ancora qui?- mugugnai – ti prego, aspettami in macchina, non voglio che tu mi veda in questo stato pietoso…-
- Ma Trilly, non sei certo la prima ragazza che vedo vomitare – replicò lui – non voglio andarmene…-
-Non m’importa- lo interruppi- non vedrai me, ti prego…arrivo subito, aspettami in macchina, è tutto a posto, non ho bisogno di niente…- mi ero appoggiata al tronco del bellissimo e possente albero che mi proteggeva per riprendere respiro cercando in borsa qualcosa per pulirmi il viso.
- Ok..allora…vado in auto…mi sa che hai bisogno di un esorcista! - disse allontanandosi.
Scossi la testa sorridendo, avevo in borsa ogni tipo di salvietta…che strano, nemmeno avessi dovuto accudire dei bambini in viaggio…non ricordavo di aver riempito la borsa di quelle cose, ma in quel momento fui contenta di trovarle e smisi di pensarci. Mi resi presentabile, una caramella alla menta…perfetto. Mi alzai, andava decisamente meglio, cercai di scacciare il pensiero dell’orribile figuraccia, feci un respirone e mi dissi che il meglio della giornata aveva ancora da venire e poi… cosa aveva detto? Un regalo? Per me? Ma come? Eppure avevo sentito bene! Cosa poteva essere? Il cuore mi batteva e sentivo il rimbombo in tutte le parti del corpo. Mi mossi verso l’auto con un nuovo sorriso, più padrona di me. Aprii lo sportello e mi sedetti.
- Va meglio?- mi chiese, bellissimo.
- Mmmm…meglio, possiamo andare…magari...non importa che tu si senta un pilota della Parigi-Dakar…puoi andare anche più piano…- abbozzai un sorriso.
Mi fissava con le sopracciglia alzate e mise in moto la macchina partendo a razzo
-Come non detto- mormorai, lo vidi ridere e poi rallentare
-Non ci si annoia con te Trilly-   mi dedicò uno sguardo veloce
-Mi dispiace, scusami…sono mortificata-
-Non serve, non scusarti; non scusarti di… essere normale-
-Ok… dunque dimmi, cos’era quella storia del regalo?!-  gli chiesi.
-Te lo dirò quando arriveremo, tanto non manca molto.- fece una breve pausa e poi proseguì
- Era il tuo ragazzo? ... Quel tipo con cui cenavi ieri sera, è il tuo ragazzo?- guardava la strada.
- Chi? Giovanni? Ma no…è solo, solo un amico- risposi imbarazzata
- Non sembrava..ieri sera c’era molta complicità tra voi mentre cercava di farti mangiare quella schifezza- continuò
- Ci conosciamo da molto tempo… per un po’ ho avuto una cotta per lui, ma i miei sentimenti non erano ricambiati; adesso vorrebbe tornare sui suoi passi, ma io non sono più quella di qualche tempo fa… però mi fa sempre piacere stare con lui, è divertente- confessai.
Bobby esitò un paio di minuti e poi commentò
- Lo capisco, quindi lui è innamorato di te adesso… e tu, lo ami ancora?-
- Ma insomma, signor De Niro, io non posso farti una domanda in più sulla tua compagna di scuola Allison e tu mi tempesti di domande?? Che storia è mai questa?- sbottai
- Ma io sono Robert Thomas Pattinson…e posso fare tutte le domande che voglio…- ribatté impertinente.
-Oh certo…i miei ossequi maestà…. Dunque non devo chiamarti più Bobby, ora sei di nuovo Robert: benissimo, lo urlerò fuori dal finestrino!- risposi cercando di aprire il vetro.
- Che fai? Stai ferma, stavo solo scherzando!- rise.
- Sarà meglio per te, sir!- conclusi
Eravamo quasi arrivati: ero già stata a Brighton durante la famosa vacanza studio, proprio quella con Giovanni. La ricordavo un’incantevole cittadina sul mare e piena di divertimenti. Distava circa un’ora da Londra e già riuscivo a vedere il mare del Canale della Manica.
Durante il periodo estivo le sue strade sono sempre brulicanti di turisti e villeggianti, ma Brighton è anche una città d’arte e quindi ci sono anche molti teatri e musei che richiamano sempre molti artisti: forse era per questo che a Rob piaceva, la calma e la bellezza del mare, un po’ di vita culturale ed anche molti divertimenti, un insieme perfetto per uno come lui.
Ricordavo soprattutto il molo: il Brighton Pier, una costruzione lunghissima che si inoltrava nel mare con bei negozi tipici, ristoranti, club, il Luna Park. Mi chiedevo se a Bobby sarebbe piaciuto andare a passeggiare lì, in quel periodo invernale non c’erano molte persone.
Parcheggiò l’auto, scendemmo, lui prese una borsa dalla bauliera e ci incamminammo verso il lungomare quasi deserto. L’aria di mare entrava prepotente nei miei polmoni e la cosa mi rilassava molto, c’era una leggera brezza che faceva ravvivare il colore della pelle e Robert splendeva come un raggio di sole.
Trovammo una panchina al tiepido sole e decidemmo di fermarci lì. Bobby indossò gli occhiali scuri ed il berretto di lana: io, ovviamente, lasciai che il vento mi entrasse tra i capelli.
Bobby aprì la borsa e tirò fuori un sacchettino colorato con un elegante fiocco color rosa antico.
- Ecco il regalo di cui ti parlavo, questo è per te Trilly: per ringraziarti di avermi prontamente aiutato ed anche per dedicarmi il tuo tempo e la tua piacevole compagnia, del resto sono una persona che non conosci nemmeno, non eri obbligata a fare tutto ciò che hai fatto…- esordì porgendomi il pacchettino.
Ero così emozionata da quelle parole che non riuscivo più a distinguere ed a guidare i miei sensi…ero come pietrificata, Robert che mi stava facendo un regalo, lui aveva avuto un pensiero per me. Non sapevo cosa fosse e già sentivo venirmi le lacrime agli occhi. Cercai di ricacciarle indietro.
-Trilly?- mi chiamò con voce dolce.
- Sì! Scusami, sono molto sorpresa che tu…abbia fatto questo per me, io ti ho aiutato volentieri ed anche tu sei una piacevole compagnia!- balbettai.
- Dai, aprilo! – mi incitò.
Scartai quel prezioso pacchettino: dentro c’era qualcosa avvolto in una carta firmata Harrods in ogni dove; la tolsi e vidi ciò che conteneva, non lo avrei mai immaginato.
Avevo in mano un meraviglioso paraorecchie di cashmere nero: le cuffie che dovevano proteggere le orecchie dal freddo erano impreziosite da un disegno a forma di fiocco di neve creato con cristalli che presumevo essere Swarovski, ed anche se fossero stati sassi sarebbero stati splendidi comunque.
Ero senza un filo di voce, senza parole.
-Mia sorella ne ha uno simile, così almeno le orecchie le avrai al caldo, senza scomporti la capigliatura- mi spiegò candidamente.
-E’ bellissimo Bobby - dissi – ma…sei stato ad Harrods, non dovevi rischiare andando in quel luogo affollato solo per farmi un regalo…non eri a Covent Garden?- lo guardai perplessa ancora in preda alla semiparalisi.
- Allison è andata da Harrods per me- rivelò – poi aveva sentito dire che saresti andata a Covent Garden…ma non conosce l’italiano e quindi non aveva capito che saresti stata in compagnia, ti ha solo vista uscire con quel tipo e mi ha avvertito. Ho deciso di provare a cercarti per farti una sorpresa, ma poi ti ho vista al tavolo con lui ed anche tu mi hai notato…così… il resto lo sai.-
-E’ meraviglioso, grazie davvero!- esclamai indossando il mio regalo.
Bobby mi squadrò il viso e constatò che mi stava bene, meglio del mio cappello che definì “fosforescente”.
-E’ per trovarmi meglio!- spiegai.
Ero felice e stupita, ero tutta in tumulto ed in quel momento fui guidata solo dall’istinto, non pensai alle possibili conseguenze. D’improvviso mi avvicinai a lui e lo abbracciai forte ringraziandolo vivamente.
Ma qualcosa andò storto.
Mi sentii afferrare i polsi con forza e spingermi via lontano da lui.
Una voce imperiosa ed arrabbiata arrivò prepotente come uno schiaffo.
- Che cazzo stai facendo? Perché mi salti addosso?! – inveì contro di me, non lo riconoscevo: in un attimo era un’altra persona, cosa avevo fatto?
- Bobby io…scusami, non volevo…ho reagito d’istinto, calmati che ti prende? – cercai di rabbonirlo…
- Non ti azzardare più a toccarmi, non devi toccarmi! Mi sono spiegato bene?- puntava il dito indice verso di me, fuori di sé, lo sguardo perso nella rabbia – Fanculo! – gridò dando un calcio alla sua borsa.
Mi dette le spalle, indugiò un attimo e poi si diresse a passo sostenuto verso il mare: lo vidi accendersi una sigaretta e dopo qualche istante si sedette sulla sabbia umida e fredda.
Ero rimasta lì sulla panchina come un sasso: immobile, impaurita, dispiaciuta, non riuscivo a muovermi. Sulle mie gambe c’era ancora il regalo di Bobby con tutto il suo incarto.
Volevo piangere come una bambina che è sgridata dal padre. Non avevo intenzione di farlo alterare in questo modo, di procurargli fastidio. Mi resi conto che doveva essere ossessionato dalle ragazze che volevano toccarlo, saltargli al collo senza rispettare i suoi spazi. Sentirsi sempre le mani addosso per chiunque di noi sarebbe stata come una violenza ed io non ci avevo minimamente pensato. Gente che lo rincorre per strada continuamente, che gli spara flash negli occhi, doversi sempre guardare le spalle, se qualcuno lo sta fotografando o riprendendo: d’altronde lo avevo provato io stessa quando ci eravamo incontrati in libreria. Lo osservai da lontano e mi si strinse il cuore vedendolo lì solo a fumare. Dovevo fare qualcosa. E dovevo farlo subito, prima che tornasse.

mercoledì 8 febbraio 2012

UN GIORNO PER CASO - 17

Era già mattina presto e non riuscivo più a prendere sonno, ero in trepidazione ed avevo un lieve dolore allo stomaco. Rimasi un altro po’ a letto, sveglia, ripensando alla sera appena passata.
Presi in considerazione l’ipotesi di Elisabetta, cioè che avessi avuto una visione, una specie di allucinazione.
Non era credibile che Robert fosse là proprio in quel preciso momento, proprio vicino a quel ristorante.
Sarebbe stata una coincidenza troppo impossibile! E se fosse stato lì perché sapeva che anche io c’ero?
Ma figuriamoci, prima di tutto, chi poteva averglielo detto e poi, cosa ancor più importante, che motivo avrebbe avuto di venirmi a cercare e farsi vedere da me, col rischio che qualcuno lo avesse riconosciuto…sarebbe successo un putiferio e questa volta non avrei potuto aiutarlo.
No, riconsiderando tutti gli elementi, arrivai alla conclusione che potevo essermi immaginata tutto: forse l’agitazione per la giornata di oggi, per quella appena trascorsa al parco; qualche risata di troppo, un bicchiere di birra in più, lo stomaco sotto sopra, il freddo…Giovanni aveva insistito di mangiare fuori nonostante il clima per godere di più dell’atmosfera…sì, invece di una bella congestione avevo avuto un’allucinazione e Robert era apparso come un cavaliere su un unicorno alato.
Decisi che non avrei chiesto nulla a Bobby ed avrei fatto finta di niente: le cose dovevano stare per forza in questo modo.
Bètta si alzò e si preparò per uscire: erano già le otto e mezzo, avevo riflettuto a lungo!
Mi dette un bacio sulla guancia e mi raccomandò di stare tranquilla, che tutto sarebbe andato per il meglio, di essere il più naturale possibile…facile a dirsi con un uomo di quella portata di fronte! Era già tanto se non cadevo in catalessi quando lo avevo vicino! Ma da perfetta dottoressa molto pragmatica lei sosteneva che fosse quello che si prova davanti all’uomo che si ama, qualunque esso sia. Non ero molto d’accordo con lei, ma volli convincermene per darmi un’iniezione di autostima.
Robert mi aveva detto di aspettarlo alla fermata della metropolitana di Canary Wharf.
Erano circa cinque minuti che aspettavo quando vidi un’auto blu metallizzata accostare al marciapiede e suonarmi.
Era lui.
Cercai di mantenere un minimo di autocrontollo e salii.
-Ciao Trilly, buongiorno! Come va?- mi salutò.
Il mio stomaco già malconcio ebbe una fitta quando lo vidi: non aveva occhiali da sole e nemmeno il cappello: così al naturale mi fece quasi sobbalzare.
-Direi abbastanza bene, mister De Niro…conosce come le sue tasche le scorciatoie di Londra,eh?!-
Risposi quasi sarcastica ripensando al messaggio che Allison mi aveva dato il giorno prima.
Mi allacciai le cinture, lui partì ed io continuai ormai presa un po’ dalla gelosia
-Come hai fatto a far stare zitta quella Allison? Le hai dato una bella mancia o le hai fatto gli occhi dolci?!-
Bobby si voltò a guardarmi sorridendo e scuotendo la testa
-Whhhat? Trilly ma per favore…Allison è una mia vecchia compagna di classe e quando mi hai detto che stavi in quell’hotel mi sono ricordato di lei,  ne ho approfittato e basta…ma poi per quale motivo me lo chiedi?- mi domandò stringendosi nelle spalle e stampandosi sul viso una di quelle sue espressioni indecifrabili.
Mi pentii subito di essermi fatta guidare dall’impulsività dei sentimenti e cercai una scusa da dirgli
-Bhé.., insomma, così, per la tua sicurezza..mi sarebbe dispiaciuto se per far arrivare un messaggio a me ti fossi messo nei guai…sì, ecco, per questo!- spiegai
-Allora ti ringrazio ma ormai penso di saper badare a me stesso..o quasi, non credi?-
-Certo, scusami, non volevo offenderti- dissi maledicendomi
-Non preoccuparti, è tutto a posto, non ne parliamo più. Dimmi, piuttosto, abbiamo qualche ora da passare a Brighton prima che venga buio e freddo…ti piacerebbe fare qualcosa in particolare?- il suo tono si era rilassato.
- La domanda di riserva?- chiesi distrattamente in italiano ridendo di me stessa e coprendomi il viso con le mani.



-Che cosa hai detto? Ma perché ridi? Uno di questo giorni andrò da Danny e mi farò fare un po’ di scuola di italiano…così capirò finalmente quello che non vuoi che comprenda…- mi disse con un tono ammiccante che quasi mi fece andare per traverso la saliva.
- Non sia mai! Bene, allora oggi in riva al mare ti insegnerò le più belle parolacce in italiano, anzi in toscano che rendono molto meglio!- proposi
- Ok! Ci sto!- ribatté Robert divertito.
Avevo capito che a Bobby piaceva trascorrere del tempo in serenità, con tranquillità, senza essere ossessionato: per poco non avevo combinato un pasticcio, dovevo stare molto attenta a non far trapelare nulla dei miei sentimenti, anche se mi sembrava un’impresa titanica…il mio amore per lui mi usciva fuori pure dalle orecchie…come poteva non accorgersene?! Di sicuro stava facendo finta di niente.
In ogni caso, decisi che avrei provato a dargli solo ciò che cercava, amicizia senza obblighi…ma ormai mi conoscevo e sapevo che era difficile venire a patti con l’istintiva che era in me e che mi aveva guidato la maggior parte delle volte nella mia vita. Quindi decisi che sarei stata per lui l’amica che cercava a meno che non fosse capitato di nuovo “l’attimo fuggente” come quella sera in camera di Giovanni. Non avrei fatto volare via il destino un’altra volta, non QUESTA volta.
Feci un sospiro, ingoiai la saliva e ricacciai nel profondo, per il momento, tutto ciò che mi aveva invaso il cuore e la mente: lo guardai e fui sicura che per lui, per quello sguardo, per quegli occhi avrei fatto di tutto al fine di farlo stare bene, tranquillo, per vederlo sorridere allegro come un attimo prima.
(n.d.r.: mi scuso per la qualità del video, ma non sono riuscita a trovarne di migliori, provate ad alzare il volume e con l’occasione ricordo che i miei video hanno lo scopo non solo di fare da colonna sonora, ma soprattutto per accentuare le emozioni che provo nel racconto. ;-))


Eravamo già usciti dalle strade di Londra e davanti a noi si apriva la bellissima e suggestiva campagna inglese: prati a dismisura con quelle casine bianche in mezzo. Era una bella giornata per fortuna, fredda ma con un tiepido sole che bastava a scaldare un po’ l’aria. Nonostante il meraviglioso paesaggio il dolore allo stomaco si stava facendo sempre più acuto ed avevo una vaga nausea che non mi piaceva per niente.
Fin da piccola soffrivo di mal d’auto e quella guida all’incontro certo non mi aiutava…inoltre Robert guidava come uno spericolato e la cena della sera prima me la sentivo tutta galleggiare…avevo bisogno di un po’ d’aria o sarebbe accaduto il peggio.
-Bobby….- lo chiamai con un filo di voce
-Sì?- si voltò verso di me- Oh merda Trilly ma sei bianca come un fantasma, ti senti male???-
-Bhè sì..in effetti potrei stare meglio, puoi accostare e fermarti un minuto? Ho bisogno di prendere un po’ d’aria o vomiterò dentro questa tua macchina pulitissima e bellissima, ho reso l’idea??? Mi dispiace…-
- Ok ok resisti adesso mi fermo subito, trovo un posto…ma perché non mi hai detto che soffrivi di mal d’auto???!!!- mi domandò ridendo
-Non c’è nulla da ridere, non è il momento di fare domande, ferma questa cazzo di macchina adesso!!!- implorai
-Adoro il tuo linguaggio così colorito!- precisò con un sorriso che mi fece rivoltare ancora di più lo stomaco.
Lo guardai minacciosa ed appena si fermò volai fuori dall’auto e corsi nel prato al bordo della strada.
Mi misi seduta su un muretto di pietra e feci dei respiri profondi sperando che la nausea scomparisse da sola, ero la solita pasticciona.
Robert si avvicinò a me accendendosi una sigaretta ed in quel momento ebbi anche un capogiro vedendolo fumare in quel modo sensuale. Era uscito di macchina senza cappotto, aveva un maglione nero e dei jeans scuri: era bellissimo con i suoi capelli rossicci che ricadevano perfettamente sul viso e la sua barba di qualche giorno. Avrei voluto toccarlo, ma fu lui a toccare me.
La brezza leggera mi aveva scompigliato i capelli, avevo la frangia tutta sugli occhi: con un dito mi spostò qualche ciuffo verso le tempie, io smisi di respirare altrimenti si sarebbe accorto che quei respiri erano sospiri affannosi.
-Ti senti meglio adesso? Potevi dirmelo che non ti trovavi bene con l’auto, saremmo rimasti a Londra!- mi rimproverò
-Sono anni che non soffro più il mal d’auto…certo non ero preparata per la tua guida sportiva!!-
-Oh io non guido in modo spericolato, non è assolutamente vero- rispose facendo il finto offeso- piuttosto, sono certo che quell’intruglio disgustoso che stavi mangiando ieri sera col tuo amico sia la causa dei tuoi malesseri!-  parlava senza guardarmi, fumando, come se stesse dicendo una cosa senza alcun interesse.
Girai la testa di scatto come se avessi visto un brontosauro nel mezzo alla strada. Lo fissai per pochi secondi e poi balbettai
-Eri tu? Allora eri proprio tu? Credevo di essere ubriaca…-
-Certo che ero io…- si portò la sigaretta alle labbra
-E… e cosa ci facevi a Covent Garden?- il mio cuore batteva così forte che si poteva sentire lo spostamento d’aria.
- Ti ho comprato un regalo-.


lunedì 30 gennaio 2012

UN GIORNO PER CASO - 16

Covent Garden era una delle zone di Londra che amavo di più: la sua semplice ma caratteristica piazza piena di bancarelle artigianali, i teatri, i musei che la circondavano mi avevano sempre estasiato. Ed ancora i ristoranti eleganti sempre pieni di persone ai tavoli allietate dalle musiche allegre o romantiche degli straordinari artisti di strada. Locali, negozi, eventi culturali  rendevano le strade sempre frenetiche ed affollate. Mi piaceva soffermarmi ad osservare la bravura degli artisti, ne rimanevo affascinata.
Il fatto che Giovanni si fosse ricordato di questo particolare mi lusingava molto: ci eravamo seduti per cena proprio in uno di quei bei ristorantini, certo uno di quelli che aveva qualche piatto che si avvicinava alla cucina italiana. Scherzammo per tutto il tempo e godetti di quella compagnia che tanto avevo aspettato, anche se in verità il mio cuore batteva ansioso di arrivare al giorno dopo, quando avrei rivisto Bobby, Robert.
“E per dolce cosa prendiamo?” mi chiese Gianni quando la cameriera venne a portarci via i piatti.
“Bhè, io direi che per me va bene così…ho mangiato anche troppo”
“Eh no, qui viene il bello, non vorrai rovinarmi la cena proprio adesso” mi interruppe con tono perentorio e rivolgendosi alla ragazza ordinò “Ci porti due gelati ed una porzione di patatine fritte, per favore”
“Patatine fritte, signore?” rispose perplessa la cameriera.
“Sì, certo, patatine fritte ben cotte!” precisò e la ragazza si allontanò di fretta.
Gli rivolsi uno sguardo supplichevole “Gianni ti prego, risparmiami questo dessert; non ti sei accorto che non abbiamo più sedici anni e soprattutto, il mio stomaco ed il mio fegato non sono più quelli di una volta! E’ possibile che tra una settimana ancora non abbia finito di digerire questa schifezza e non ho nessuna intenzione di sentirmi male stanotte, ho un appuntamento importante domani mattina!!!”
“Ah per piacere smettila di fare la preziosa!” rispose lui quasi scocciato” era la nostra mattacchioneria preferita, ci divertivamo un sacco, perché non ricordare quei bei momenti ripetendo la stessa cosa adesso? Non ti capisco…e  poi, non siamo qui in vacanza? Che razza di appuntamento dovresti avere domani?”
mi domandò.
Per mia fortuna la cameriera arrivò con due bei gelatoni e le patatine fritte: all’odore il mio stomaco represse per rispetto un conato di vomito e mi portai una mano sulla fronte per nascondere la mia espressione di disgusto, ma come potevo aver inzuppato le patate fritte nel gelato quasi vent’anni prima??? Certo l’amore ti fa fare veramente cose strane…
“Eccoci, finalmente!” esclamò Giovanni divertito e già distratto dalla domanda che mi aveva posto.
Gli feci uno sorriso forzatissimo, cosa che invece di dissuaderlo lo fece ridere ancor di più.
“Dai, forza, iniziamo! Prendi una patatina, inzuppa e poi mangia!!!” mi incitò lanciandomi due o tre patate dalla mia parte.
“Signore benedetto! Non sei proprio cambiato per niente, è pazzesco! NON lanciarmi quelle patate! Fermo” lo guardai rassegnata.
Iniziavo a divertirmi anch’io, mi faceva ridere il suo comportamento in fondo. Del resto Gianni era stato l’unico nella mia vita che, al di là dell’amore che avevo provato per lui, riusciva a tirar fuori tutto il mio spensierato ed allegro lato Gemelli. Prima o poi mi coinvolgeva nelle sue pazzie e mi ritrovavo sempre ubriaca di risate.
E fu così anche stavolta.
Infilai nel gelato alla panna la patatina e totalmente schifati contammo sino a tre e poi via! In bocca!
Ci sbellicammo, non ci rammentavamo più quanto fosse orribile quel sapore dolce e salato insieme; e più ci chiedevamo come avevamo potuto farlo e più che si rideva…gli tirai qualche patata anch’io ed andavo ad inzupparle nel suo gelato sotto gli occhi sbalorditi dei vicini di tavolo.
Avevo i lacrimoni agli occhi dal divertimento, Giovanni aveva spostato la sedia e si era seduto vicino a me con il suo piatto, intendeva imboccarmi nonostante il mio primo e ridacchiato rifiuto.
Il nostro tavolo era situato proprio sul bordo esterno quindi avevo la strada al mio fianco e le persone che passeggiavano avanti ed indietro o che si recavano alla svelta nei vari locali o teatri.
Mentre ero così intenta a fare la scema il mio sguardo cadde su una figura vestita di nero, in lontananza, confusa tra la gente, sembrava immobile come se mi stesse osservando, poi prese a camminare verso di noi ed il mio sistema cardiocircolatorio ebbe un blocco quando notai il cappuccio scuro sulla testa contrastato da una barba color tramonto.
Non respiravo più, ero in apnea e quasi non mi rendevo conto di cosa stava succedendo.
Il cucchiaino del gelato, che tenevo nella mano sinistra, mi scivolò dalle dita e cadde dall’altra parte della transenna che divideva il ristorante dalla strada.
Il personaggio misterioso continuava a camminare a testa bassa lungo il divisorio e non ebbi più alcun dubbio: era lui, era Bobby, cavalcava con quella sua armoniosa andatura verso di me.
Tutto intorno al mio essere si fece come oscuro e lui era come l’unico punto di luce che riuscivo a scorgere, una luce che si faceva sempre più grande;  sentivo ormai la voce di Giovanni in lontananza come un vecchio disco suonato a rilento. Non era possibile, non poteva essere vero; furono secondi interminabili, fu come se un’onda d’urto mi colpisse fino giù nel profondo dell’essere e scuotesse il mio corpo come un terremoto da cui si sprigionavano vortici di energie e sentimenti contrastanti e potenti che si impossessavano di me senza che io potessi fare niente per riprendere il controllo di me stessa…quale me? Quella che stava a quel tavolo con la bocca piena di patate gelatose o quella che sentivo fare capolino da quel sisma che mi stava imperversando dentro?!



Il personaggio, che avevo identificato in Robert, si soffermò all’altezza del nostro tavolo sempre con il viso rivolto verso il basso: si abbassò, raccolse il cucchiaino e per una frazione di secondo alzò lo sguardo puntando dritto nei miei occhi. Quelle lance azzurre sferzarono il colpo finale e non fui capace nemmeno di dire un “grazie” o di fingere qualcosa. Si allontanò nel nulla così come era arrivato lasciandomi quasi morta.
Giovanni mi scosse “Oh ma che ti prende? Ti sono andate di traverso le patate?” diceva ridendo e scherzando mi batteva una mano sulla schiena come per farmi andare giù il boccone.
Non so come riuscii a riprendere un poco di lucidità. In preda alla rabbia di trovarmi in quella situazione assurda e stupida allontanai sgarbatamente il braccio di Gianni che continuava a battermi sulla schiena.
“ Falla finita! Adesso basta!! Basta con queste stronzate, ne ho abbastanza! Dai, voglio tornare a casa, andiamo!” dissi in malo modo e guardandomi ancora intorno
“ Ma cosa c’è, che hai? Ti senti male per davvero?”
“ Mi è scoppiato un forte mal di testa, ti prego, andiamo in hotel!” feci una breve pausa “ ci siamo divertiti abbastanza, non credi?”
Vidi Gianni abbuiarsi, mi riaccompagnò alla mia stanza senza che nessuno dei due dicesse una parola.
“Ok, ehm, ti ringrazio della serata Gio…è stato molto, molto divertente e scusami ma…davvero non mi sento bene..” cercai di giustificarmi ancora scossa dall’accaduto.
Ma accadde ancora una cosa che non avrei mai potuto prevedere.
Giovanni si avvicinò a me e mi baciò sulle labbra: dopo tutto quel tempo durante il quale avevo sognato spesso quel momento non riuscii a provare molto, solo stupore. Stava dando spessore a quel bacio quando lo fermai staccandomi.
“Giovanni io…ti prego…mi dispiace ma, io ..io non sono più la stessa: non rimanerci male…non posso io..non posso proprio…scusami” sussurrai osservando il suo viso.
“Ma vuoi spiegarmi che cazzo sta succedendo? Non vorrai mica dirmi che mi hai trascinato fino a Londra per dirmi che non sei più la stessa?Mi dici che cazzo ti prende?Con chi ti devi vedere domani?” Giovanni esplose arrabbiato ed ingelosito addirittura.
“Ascolta, non importa con chi mi vedo domani, non è certo affar tuo, che ti devo dire le cose sono cambiate, i miei sentimenti sono cambiati…” mi voltai ed aprii la porta della camera: entrai e lui si fermò sulla soglia.
“Non ci posso credere, non è possibile che in tre giorni sia cambiato tutto, è per quel tuo amico del locale non è vero? E’ lui che ha rovinato tutto, non è vero?” domandò incalzando il tono.
Bètta era a letto che leggeva un libro ed osservava la scena con imbarazzo.
Mi voltai di scatto
“Ma insomma, che cosa ti importa, eh?Per venti anni ho sperato che tu mi facessi una telefonata, i primi tempi ho aspettato per mesi le lettere che dicevi di scrivermi…voglio dire….adesso te lo chiedo io..che cosa è cambiato? Te lo dico io che cosa è cambiato, è cambiato che ho finito di aspettare, mi dispiace, punto.
Sì è per quel mio amico, Bobby, se mi vedi diversa e non so proprio che cosa farci anzi, mi va bene così!”
conclusi.
“E’ vero, non mi sono comportato bene, ma…se ho serbato questa fottuta collana un motivo ci sarà non credi?” continuò Giovanni scostandosi il maglione dal collo e  senza nessuna intenzione di chiudere il discorso “ voglio vedere la tua, fammi vedere la tua, ci sarà un motivo se anche tu l’hai conservata, o no?”
Chiusi gli occhi un attimo, presi un calmo respiro e li riaprii mentendo
“L’ho persa, non ce l’ho più, la persi in mare quella stessa estate”
“Non è possibile, è una bugia, mi hai sempre detto di averla, non ci credo!”
“Bhè, credici, perché è così!” dissi nel modo più convincente possibile.
“Bene, allora….a questo punto penso che non abbiamo altro da dirci. Buonanotte Eva.”
Prima che potessi rispondere si era già voltato per andarsene e non fui capace di dire nulla. Chiusi la porta e guardai la mia amica alquanto allibita.
“Che mi sono persa?” mi chiesa Bètta.
“Giovanni mi ha baciata…ed io l’ho respinto” confessai.
“Oh Dio mio, questo sì che è uno scoop!” esclamò lei e poi riprese “lo sai che molto probabilmente non ci sarà un’altra occasione, vero? E sai anche che Robert è pura follia, perché è per lui che hai respinto Giovanni, vero?”
“Che cazzo! Vaffanculo Bètta!” imprecai
“Ok…dormo vai, è meglio, ti voglio bene anch’io!” mi rispose riponendo il suo libro nel comodino.
Non dissi niente, mi preparai per la notte ed infilai il pigiama quasi come un automa.
Mi sdraiai accanto a Bètta e le chiesi
“Dormi Bètta?”
“Mmmm..ormai non più…che c’è ancora?”
“Stasera, mentre Gianni ed io cenavamo a Covent Garden…lui era là, Bobby era lì” mormorai con un filo di voce
“Stai cominciando ad avere le allucinazioni…” farfugliò Bètta tra il sonno.
“No, te lo giuro, sono sicura, è passato di fronte a me..ha raccolto il mio cucchiaino..ne sono certa, certissima!” puntualizzai.
“E allora cara mi sa che sei nella merda fino al collo, dormi adesso o domattina sarai un mostro!”
“Ecco appunto…proprio nella merda…ma insomma…una bella merda…voglio dire…notte Bètta” le dissi
“…nnnotte..”
Presi due digestivi ed andai a letto, spensi la luce.
Mi dispiaceva aver arrecato dispiacere a Giovanni ma non riuscivo a pensare ad altro che a Bobby; il suo viso, i suoi occhi, la sua voce, il suo nome rimbombavano nella mia mente esausta.